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L'ultima domanda - di Isaac Asimov (parte 2)

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Messaggio Da Plinio Mer Apr 30, 2008 3:21 pm

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Era tranquillo, lui, perché pensava che, una volta che si fosse bagnato ben
bene quell'albero lì, non doveva fare altro che spostarsi sotto un altro.
- Ho capito, sì - disse Adell. - È inutile che gridi. Una volta spento il
nostro sole, anche le altre stelle si saranno esaurite, nel frattempo.
- Puoi star sicuro che si saranno esaurite - borbottò Lupov. -
Tutto ha avuto origine in una prima esplosione cosmica, qualsiasi cosa fosse,
e tutto avrà una fine quando le stelle si saranno scaricate ben bene. Alcune
si spegneranno più in fretta di altre. Le stelle giganti dureranno al massimo
cento milioni di anni. Il sole durerà venti miliardi di anni, mettiamo, e le
nane potranno durare cento miliardi di anni, per quel che servono. Ma lascia
che passi un trilione d'anni, e tutto sarà sprofondato nel buio. L'entropia
deve per forza raggiungere un massimo, tutto qui.
- So tutto dell'entropia - disse Adell, con un tono di dignità offesa.
- Davvero? Non si direbbe.
- Ne so tanto quanto te.
- Allora sai anche che tutto finirà per decadere, prima o poi.
- D'accordo. Chi ha detto il contrario?
- Tu, l'hai detto, povero mammalucco. Hai detto che avevamo tutta l'energia di
cui abbiamo bisogno, per sempre. Hai detto proprio "per sempre".
Era Adell, ora, in vena di contraddire. - Può anche darsi che, un giorno o
l'altro, si riesca a ricostituire tutto.
- Mai!
- Perché no? Un giorno, non so quando.
- Domandalo a Multivac.
- Questo poi no.
- Domandalo a Multivac, ti dico! Facciamo una scommessa: mi gioco cinque
dollari che ti dirà di no anche lui.
Adell era abbastanza brillo per provare, abbastanza in sé per poter comporre i
simboli e le operazioni necessarie per una domanda che, in parole, sarebbe
sonata press'a poco così: Potrà un giorno il genere umano, senza dispendio di
energia, essere in grado di riportare il sole alla sua piena giovinezza
perfino dopo che sarà morto di vecchiaia?
O magari, in maniera più semplice, si sarebbe potuta formulare così: Com'è
possibile diminuire in modo massiccio il quantitativo di entropia
dell'universo?
Multivac si fece immobile e muto. I lenti lampi di luce cessarono, i lontani
rumori del ticchettio dei relais si fermarono.
Poi, proprio quando i due tecnici terrorizzati sentivano di non farcela più a
trattenere il respiro, vi fu un improvviso ritorno alla vita della
telescrivente collegata con quella parte di Multivac. Le parole erano cinque
in tutto: DATI INSUFFICIENTI PER RISPOSTA SIGNIFICATIVA.
- Niente scommessa - bisbigliò Lupov. E insieme si allontanarono in fretta dal
sotterraneo.
Il mattino dopo i due amici, afflitti dal mal di testa e dalla bocca
impastata, avevano già dimenticato l'incidente.

Jerrodd, Jerrodine e Jerrodette I e II osservavano sul quadro visivo i
cambiamenti dello stellato mentre il passaggio attraverso l'iperspazio veniva
completato in un lasso di nontempo. Tutto a un tratto, il pulviscolo di stelle
cedette il posto alla predominanza di una singola e vivida biglia, proprio al
centro del quadro.
- Quello è X-23 - disse Jerrodd, senza un attimo di esitazione. Intrecciò con
forza le mani scarne dietro di sé, tanto che le nocche gli si sbiancarono.
Le piccole Jerrodette, due sorelline, avevano fatto per la prima volta in vita
loro l'esperienza del passaggio nell'iperspazio ed erano un po' imbarazzate a
causa della momentanea sensazione di uscire da se stesse. Soffocavano le
risate dietro le manine e si rincorrevano a vicenda attorno alla mamma,
facendo un baccano indiavolato. - Siamo arrivati su X-23 - gridavano - Sìamo
arrivati su X-23... siamo...
- Buone, bambine - le zittì Jerrodine, in tono severo. - Sei sicuro, Jerrodd?
- Come si fa a non esserne sicuri? - ribatté Jerrodd, levando lo sguardo
all'uniforme sporgenza metallica proprio al di sotto del soffitto. La
sporgenza correva lungo tutta la cabina scomparendo poi attraverso le paratie
alle due estremità. Era lunga come l'intera astronave.
Jerrodd non sapeva quasi niente a proposito di quel grosso tubo metallico,
salvo che veniva chiamato Microvac; che, volendo, era possibile rivolgergli
delle domande; che, oltre a rispondere a eventuali domande, aveva il compito
di guidare la nave fino a preordinata destinazione. Inoltre, Microvac
provvedeva a rifornirsi di energia dalle varie Stazioni Erogatrici
Sub-Galattiche e, infine, risolveva le equazioni per i balzi iperspaziali.
Jerrodd e la sua famiglia non dovevano fare altro che aspettare, comodamente
alloggiati nelle cabine dell'astronave.
Qualcuno, una volta, aveva detto a Jerrodd che "ac", alla fine di Microvac, in
inglese antico stava per "calcolatore analogico", ma lui era ormai in procinto
di dimenticare perfino questo.
Jerrodine aveva gli occhi lucidi, nel fissare il quadro visivo. - Non so cosa
farci. Mi sento molto scossa al pensiero d'avere lasciato la Terra.
- Ma perché, benedetta donna? - Sì meravigliò Jerrodd. - Non avevamo niente,
laggiù, mentre su X-23 avremo praticamente tutto. Non ti sentirai sola, perché
non sarai una pioniera: sul pianeta c'è già un milione e più di persone. Santo
cielo, se pensi che i nostri pronipoti dovranno cercarsi nuovi mondi, perché
X-23 sarà già sovraffollato! - Poi, dopo una pausa di riflessione: - Credi a
me, è una vera fortuna che i calcolatori abbiano risolto il problema dei
viaggi interstellari, considerato il modo come si moltiplica la razza.
- Lo so, lo so - convenne Jerrodine, avvilita.
- Il nostro Microvac - saltò su Jerrodette I - È il Microvac migliore del
mondo.
- Certo, lo penso anch'io - disse Jerrodd, arruffandole i riccioli.
In effetti era bello poter avere un Microvac tutto per sé, e Jerrodd era
contento di appartenere alla sua generazione. Al tempo in cui era giovane suo
padre, gli unici calcolatori esistenti erano dei tremendi macchinoni che
occupavano centinaia di chilometri quadrati di terra. Ce n'era non più di uno
per pianeta. AC Planetari, si chiamavano. Per migliaia d'anni, non avevano
fatto che aumentare di dimensioni finché, tutt'a un tratto, era subentrato il
raffinamento tecnico. Al posto dei transistori, erano venute le valvole
molecolari, per cui perfino il più grande degli AC Planetari poteva trovar
posto in uno spazio pari alla metà del volume di una astronave.


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